Pensieri e riflessioni

Contatto (con la paura)

Nel post pandemia il distacco dalla naturale fisicità a cui la cultura moderna fatta di reti e notifiche ci ha disabituato, si è acuito in maniera esponenziale.

Il senso del tatto è quello che ha pagato il più alto tributo alla velocità del nuovo comunicare. Io che personalmente uso il tocco come mestiere, mi rendo conto di quanto l’interazione fisica sia sempre meno usuale tra di noi, tanto da stupire, a volte in negativo, a volte in positivo, molti degli studenti a cui correggo con l’uso delle mani una postura o un’attitudine errata.

Cerco sempre di rispettare distanza e spazio vitale di ogni allievo, ma in alcuni casi è necessario il tocco di chi insegna. Alcuni distretti corporei sono talmente disabituati a determinati movimenti che in alcuni casi devono essere guidati ed il miglior maestro è il tatto.

Ma più passa il tempo più mi rendo conto di quanto questo senso, il primo insieme all’udito che sviluppiamo nel grembo materno, sia relegato ad un ruolo quasi fastidioso nei rapporti del nuovo millennio.

Perché vederci quando possiamo fare una call? Perché incontrarci se il torneo di burraco/Fifa possiamo farlo online? Perché parlare con una persona che ci interessa che è davanti a noi quando con calma, protetto, a casa, posso inviargli un DM su Instagram?

Un sentimento mal interpretato

Gli spartani idolatravano Fobos, Dio della paura.

A guidare questo distacco dalla fisicità c’è un sentimento di paura diffuso. Paura di una malattia, paura di un rifiuto, paura  di un giudizio, paura di non sentirsi all’altezza. Lo schermo è la frontiera fisica di una comfort zone che se mai venisse violata, si può ripristinare staccando la spina.

Di perso in questi “anni rapidi”, c’è anche il rapporto con la paura, fedele e preziosa compagna di viaggio, a cui tendiamo troppo spesso ad affidare un ruolo non suo, quello di Imperatrice delle nostre vite.

Eppure a Fobos, gli spartani intitolavano templi. Sì, i coraggiosi e spietati spartani, icone della fisicità e dell’eroismo, intitolavano templi al dio della Paura. Ringraziavano una divinità che faceva loro dono del terrore.

La frase più ricorrente nella Bibbia è “non aver paura”. Una delle più diffuse preghiere ebraiche recita: “Il mondo è un ponte stretto, ma non aver paura di attraversarlo”. Così come una delle preghiere facoltative islamiche prende il nome di “Preghiera della paura”.

Con la paura si è fronteggiato ogni umano, in ogni ambito, in ogni epoca, in ogni luogo. E chi la paura ha saputo farsela amica ed alleata questo mondo lo ha solcato lasciando un bel segno, spesso di svolta ed innovazione.

Lo scontro

La prima linea di fanteria d’un esercito è quella più esposta al mix contatto fisico/paura

Queste riflessioni vengono dalle risposte ad un sondaggio che ho posto sul mio profilo instagram. La domanda era “che rapporto hai con lo scontro fisico?”. Il 31% di chi ha speso il suo tempo a rispondermi ha detto di esserne terrorizzato, il 46% di esserne affascinato ma lo ritiene distante dai suoi valori. Io ricordo sempre ai miei allievi e a chi mi segue che il Tai Chi Chuan è un’arte di combattimento. Ogni singolo movimento che faccio fare al vostro corpo ha una funzione in ottica marziale. 

Quindi lo “scontro”, soprattutto fisico, è una delle finalità del Tai Chi, si tengono corpo, mente ed animo in salute e ben allenati per l’eventuale “battaglia”. Vi prego, non mi dite “io non voglio combattere”, la vita mette dinanzi a battaglie piccole e grandi ogni giorno, lottare è come respirare. Si perde, si vince, si può scappare da esse (per un pò, mai per sempre) o impattarci contro con eccessiva superficialità.

Ma è di vitale importanza avere una forma pro mentis adatta quando si scende in campo (o lo si lascia per ritirarsi, ma sempre in ordine, mai sopraffatti dal terrore), che sia contro un aggressione fisica, che sia contro un disturbo mentale, che sia contro un’avversità emotiva. Quando l’imprevisto arriva, bisogna decidere cosa fare, avere il cuore pronto. E le arti marziali sono uno dei mezzi che l’umanità ha codificato per saper maneggiare, gestire ed esorcizzare proprio le le difficoltà e le paure.

Due direzioni

Nello scontro fisico la paura percorre una strada a doppio senso. Vi invito a riflettere su questa domanda: ho più paura di farmi male o di fare male? Gestire il proprio dolore è un qualcosa a cui tutti siamo abituati sin da piccoli, ci risulta quindi più semplice in linea di massima.

Ma provocare danni a terzi, “far male a qualcuno” è qualcosa che non ci viene mai insegnato a ponderare e gestire. E anche se non sembra a primo acchito, è un problema enorme.

Troppe donne vittima di violenza “attendono la fine” dell’aggressione sperando passi il prima possibile, senza reagire. Quindi accettano nella loro vita la paura che provoca il subire il danno, ma non si soffermano mai ad elaborare e visualizzare la paura che fa procurare danno. E questo è un blocco enorme che dovrebbe essere scardinato perché, gestire il danno provocato può salvare la vita. Per danno provocato non parlo per forza di un pugno ben assestato o di un colpo di bastone alla Fra Tuck: basta una manciata di terra tirata negli occhi o il saper essere saldi nell’usare correttamente e in maniera ottimale lo spray al peperoncino.

Disabitudine alla fisicità e una cultura che stigmatizza anche la semplice gestione dello scontro fisico non remano a favore delle vittime. Mettere due guantoni e saltellare tirando pugni ad un sacco non risolvono il problema. Praticare invece arti di contatto tradizionali, dove si viene afferrati, bloccati, dove si sente il sudore e l’odore dell’altro, dove il tatto è il re incontrastato del qui ed ora, abituano ad una presenza “estranea” ed allenano la quiete durante la tempesta. Meditare mentre lo si fa è il culmine per quanto mi riguarda. 

Nel Tai Chi

Nella pratica del Tai Chi gli esercizi di coppia sono fondamentali. Allenare prima di tutto il tatto e le sensazioni che la pelle trasmette al nostro sistema nervoso, di rimando al nostro animo. Nel Qi Gong e negli esercizi possiamo nutrire i nostri reni, sede dell’emozione paura ma un’energia mai impiegata né ascoltata rimane fine a se stessa. Superare a piccoli passi la paura di toccare ed essere toccati in un “confronto” fa bene anche all’utilizzo inverso di questo senso bistrattato: quello della tenerezza e delle carezze a chi si ama.